L’EREDITÀ PERSIANA

Dopo quasi due secoli di domino musulmano, con l’arrivo della dinastia samanide (819-1005) la riscoperta e la valorizzazione dell’eredità culturale persiana iniziate con il movimento Shu’ubiyya diventano azione di governo: molte antiche festività persiane vengono ripristinate e con esse viene promosso il rilancio dell’antica lingua del popolo. Ed è sul finire di quest’epoca che nasce inizia la sua opera quello che ancora oggi è considerato il più grande poeta della storia persiana: Hakīm Abū l-Qāsim Ferdowsī Tūsī, conosciuto in Occidente come Ferdowsī o Firdusi (940-1020 ca.).
Figlio di un ricco proprietario terriero del Khorasan, nel nord est dell’Iran odierno, da ragazzo viene a contatto con il lavoro di Abu Mansur al-Mu‘ammari, che traduce una cronaca in lingua medio-persiana del tardo periodo sasanide intitolandola Shāh-Nāmeh (Libro dei Re). Ispirato da quest’opera, che narra la storia del popolo persiano fino alla caduta di Cosroe II (628), Firdusi concepisce l’idea di donare alla sua terra e alla sua gente un poema epico che ne conservi tutta intera la memoria. Tra il 975 e il 977, integrando il lavoro di al-Mu‘ammari con altre cronache, inizia così a lavorare a un poema che attraversa la storia della Persia, dalle sue radici affondate nel mito sino alla morte di Yazgard III e alla fine dell’Impero sasanide.

LO SHĀH-NĀMEH

Composto, nella forma a noi pervenuta, da oltre 50 000 distici, 62 racconti e 990 capitoli, lo Shāh-Nāmeh è il frutto monumentale di un lavoro durato secondo le ricostruzioni storiche tra i ventitré e i trentacinque anni. Iniziato sotto la dinastia samanide, il poema viene inizialmente accolto con favore anche dai nuovi dominatori Ghaznavidi, che incoraggiano Firdusi a concluderlo, sostentandolo e promettendogli la cifra di un dīnār per ogni distico. Una promessa che tuttavia verrà disattesa dal sultano Mahmud di Ghazna (971-1030), che secondo le cronache medievali liquiderà con sufficienza l’opera e il suo autore, mostrando scarsissimo interesse ed elargendo appena 20 000 dirham: una cifra, valendo un dīnār tra i dieci e i dodici dirham, quasi trenta volte inferiore a quella promessa.

LE PAROLE PIÙ DELLA SPADA

Ma più che il denaro, è l’onta del disprezzo a ferire Firdusi. Le cronache sono infatti piuttosto concordanti sulla sua reazione: e se – a seconda delle tradizioni – il poeta rifiutò con sdegno il denaro o, pur accettandolo, se ne liberò dandolo in dono a un povero venditore di vino, ciò che tutte le fonti rimandano è che tornato nella natale Tus egli dedicherà al sovrano una lunga invettiva in versi. Un’invettiva – lasciata sul muro della sua stanza di lavoro – che termina con un’invocazione al cielo perché renda giustizia al poeta e alla poesia:

«La vendetta del Cielo non dimenticherà. Il tiranno arretrerà per le mie parole di fuoco, e tremerà per l’ira di un poeta».

A noi, a distanza di un millennio, rimane un poema indimenticato e ancora vivido nel rendere la memoria di un popolo e della sua cultura. Un poema che attraverso i secoli ha parlato a tanti altri poeti, non solo nell’area persiana, ma in tutta l’Asia – fondando l’immaginario di diverse dinastie arabe, turche e georgiane – e anche in Europa, se è vero che il manoscritto più antico di cui oggi siamo a conoscenza si trova in Italia fin dal XVI secolo.
Un poema che ci ricorda il potere della storia e della poesia, capaci di fondare un’identità più della spada; più della spada, capaci di tramandare vite e intessere legami.

SITOGRAFIA ESSENZIALE