TAMERLANO E L’IMPERO TIMURIDE

Figura presente nell’immaginario collettivo come titanico condottiero capace in pari misura di ferocia e di bellezza, è a Tamerlano (Tīmūr Barlas, ca. 1336-1405) che dobbiamo non solo la riunificazione della regione sconvolta dalla caduta dell’Ilkhanato, ma anche l’inclusione degli iraniani nei gangli dell’amministrazione statale.
Convinto (con qualche ragione) di essere erede di Gengis Khan e deciso a ricostituirne l’impero, Tamerlano fu stratega abilissimo, coraggioso condottiero e feroce devastatore delle città che osavano opporglisi. Tuttavia, a questa spietatezza guerriera affianca una sensibilità per il bello che lo porta a farsi protettore di letterati e scienziati, oltre che a promuovere l’edificazione di splendidi edifici, come nella natale Kesh o a Samarcanda, che sceglie come capitale del suo impero. Un impero che concentra la propria grandezza nelle regioni d’origine, l’attuale Uzbekistan soprattutto, e perde a poco a poco presa sulle regioni periferiche. È così che nel 1452 la confederazione dei Kara Koyunlu (Montoni Neri) assume il controllo del paese, soppiantata pochi anni più tardi da quella degli Ak Koyunlu (Montoni Bianchi). È il 1468: il popolo persiano non lo sa, ma sta per arrivare la dinastia safavide; e con lei, l’ingresso nella storia moderna.

IL NUOVO IMPERO E LO SCIISMO

Il salto dell’Iran nella storia moderna – secondo il significato che gli storici occidentali danno all’espressione – è merito di Ismāʿīl Abū l-Moẓaffar (1487-1524). Partendo dall’Azerbaigian persiano – dove due secoli prima lo sceicco Ṣafī al-Dīn Ardabīlī (1252-1334) aveva fondato una confraternita mistica sufi (ṭarīqa), dando vita alla dinastia dei Safavidi – Ismāʿīl penetra infatti nel volgere di pochi anni nelle regioni più meridionali, riunendo i khanati e gli emirati che dopo la fine dei Selgiuchidi e le invasioni mongole avevano popolato la regione. Incoronato come Shah Ismāʿīl I a soli diciassette anni, nel 1501, egli ottiene dapprima la sottomissione delle dinastie occidentali dell’Iran; quindi, spostandosi ancora a ovest, riconquista l’Iraq, sul cui territorio sono presenti le spoglie di numerose personalità religiose sciite.
Quello dello sciismo è un tratto fondamentale della dinastia. Pur discendendo da un sufi – quindi da una pratica inquadrata nel sunnismo – i safavidi assorbono presto dal loro luogo d’origine le credenze e le pratiche sciite. È così che Ismāʿīl impone lo sciismo – fin ad allora seguito da circa il 10% del popolo – come religione di stato, istituendo di fatto una teocrazia di cui lo shah è il capo politico e religioso, mentre i kizilbāsh (“teste rosse”, dal caratteristico copricapo indossato) ne rappresentano l’aristocrazia militante.