UNA BREVE FIORITURA

Il dominio dei Ghaznavidi – che dall’Afghanistan verso la fine del X secolo avevano soppiantato la dinastia samanide in Iran, spingendosi a oriente fino all’India – nel corso dell’XI viene infiltrato dalla lenta conquista dei Selgiuchidi, di origine turca ma come i rivali imbevuti di cultura persiana. A guidare la conquista, il fondatore della dinastia, Tughril Beg, che dopo aver sconfitto i Ghaznavidi nel Khorasan muove verso sud ovest, venendo intitolato Sultano nel 1055 dal califfo di Baghdad.
Sotto i suoi successori, l’Iran vive una rinascita culturale e scientifica, che oltre a vedere la fondazione di numerose scuole religiose e dell’osservatorio dove il poeta e scienziato ʿUmar Khayyām conduce gli studi per la realizzazione di un nuovo calendario, attrae a Baghdad diversi eminenti studiosi, su tutti Al-Ghazali (1058-1111), uno dei massimi teologi islamici.

UN LENTO DECLINO

Con la morte di Malik-Shāh nel 1092, l’impero viene spartito tra il fratello e i quattro figli, indebolendo notevolmente il potere selgiuchide. Segue un secolo di instabilità e lotte intestine, che oltre al tentativo di restaurazione del califfato abbaside, vede affermarsi la dinastia corasmia.
Inizialmente stanziati in Asia centrale e vassalli dei selgiuchidi, approfittano del declino dei loro signori per penetrare in Iran. La battaglia con cui ‘Ala’ al-Din Tekish nel 1194 sconfigge Toghrul III segna il crollo dell’Impero selgiuchide e l’inizio del dominio corasmio. Un dominio effimero, destinato a dissolversi in pochi decenni di fronte alla furia mongola.

LA FURIA DELL’EST

È nel 1219 che la furia dell’Impero mongolo, e del suo leggendario condottiero Gengis Khan, si abbattono sull’Impero corasmio. Inizialmente – tesi particolarmente accreditata dagli storici mongoli – pare che Gengis non volesse invadere i territori corasmi ma stabilire un’alleanza commerciale tra pari, inviando a tal fine una carovana di cinquecento musulmani al fine di stabilire accordi di scambio. Nella città di Otrar, tuttavia, il governatore fa arrestare la carovana; in risposta, il khan invia allo shah ʿAlāʾ al-Dīn Muḥammad una legazione di tre ambasciatori, di cui uno musulmano, chiedendo la liberazione dei carovanieri e una punizione per il governatore che li ha fatti arrestare. È l’inizio della fine: lo shah viola la sacralità dell’ambasceria, facendo rasare il capo ai due legati mongoli e decapitando e rispedendo al mittente il musulmano. Non pago, fa massacrare gli altri prigionieri, provocando l’ira di Gengis Khan che dà l’avvio a un biennio di massacri e distruzione. Bukhara, Samarcanda, Herat, Tus e Nishapur vengono rase al suolo e intere popolazioni massacrate.
Nei successivi trent’anni, ben oltre la morte di Gengis (1227), la popolazione iranica viene letteralmente decimata passando secondo le stime da 2,5 milioni a 250 mila abitanti nel 1258 e sarà paradossalmente il nipote del distruttore, Hulagu Khan, a dare vita con l’Ilkhanato (1258-1335) a una nuova persianizzazione dei costumi. Resta tuttavia un periodo di instabilità e battaglie. Nonostante la breve ripresa economica vissuta sotto Ghazam Khan (1295-1304), che proclama l’Islam come religione di stato, l’Ilkhanato dura meno di un secolo: nuove guerre intestine e la peste nera che uccide il 30% degli abitanti del paese lo fanno implodere su se stesso. Alla morte di Abu Sa’id, nel 1335, l’Iran è ormai luogo di piccole signorie.